mercoledì 18 agosto 2010

Certificazione partecipativa. AIAB a settembre organizza corsi a Roma e Genova

AIAB (Associazione Italiana per l'Agricoltura Biologica), nell’ambito del progetto Le Nuove Frontiere della Certificazione, finanziato dal MiPAF, organizza a settembre corsi di formazione su certificazione partecipativa in agricoltura biologica rivolto a gruppi d’acquisto, consumatori e agricoltori che vendono al mercati locali. I corsi avranno una durata di 20 ore ciascuno, di cui 10 ore di lezioni frontali e 10 ore di pratica. Le lezioni tratteranno i seguenti argomenti: i principi dell’agricoltura biologica (fertilità dei terreni, biodiversità, difesa delle piante, benessere animale), il regolamento europeo (obblighi, etichettatura, dinamiche del controllo), il garanzia AIAB (eticità del lavoro, tracciabilità, filiera garantita), i sistemi partecipativi di garanzia (organizzazione, norme di riferimento, regolamento interno, funzionamento delle visite, riempimento delle scheda, valutazione delle aziende, commissione di certificazione).
La filiera, che va dai campi alla tavola, dalla produzione all'alimentazione, comprende diversi attori: agricoltori, allevatori, tecnici, consumatori , solo per citare i principali. Se queste figure integrano il proprio ruolo e lavoro in un obiettivo comune, di interesse collettivo, si genera una forma partecipativa di garanzia reciproca. Definiamo quindi "Certificazione Partecipativa" o "Sistema Partecipativo di Garanzia" il processo che genera credibilità tramite la partecipazione di tutti i soggetti coinvolti nella produzione, consumo e divulgazione dei prodotti certificati come bio.
La parte pratica comprende visite aziendali con la relativa compilazione delle schede da parte degli allievi e la successiva simulazione di una commissione di certificazione per la valutazione delle aziende visitate.[omissis].
[Tratto dal sito: http://www.aiab.it/]

Chi volesse approfondire l'argomento può leggersi il documento finale del convegno nazionale dei gas di Osnago: Cosa sono i sistemi di garanzia partecipativa? Leggi qui

giovedì 12 agosto 2010

GREENPEACE: Nuova inchiesta sui rifiuti elettronici. Il decreto non funziona.

Presentiamo qui sotto una nuova video-inchiesta che Greenpeace ha pubblicato a luglio sulla raccolta dei rifiuti elettronici in Italia. L’associazione rivela che, a distanza di un mese dalla partenza del decreto “uno contro uno” (D.M. 65/2010), i rivenditori ancora non adempiono all’obbligo di ritiro – a titolo gratuito - del vecchio apparecchio elettronico. Qualcuno ha notizie di come sta andando nel Pinerolese?
Greenpeace da anni denuncia che gran parte delle apparecchiature elettroniche prende ancora la strada dello smaltimento in discarica, o presso inceneritori o, addirittura, dell’esportazione illegale nei Paesi in via di sviluppo. Nel mondo sta crescendo a dismisura l’uso degli articoli elettronici, con la conseguente produzione di montagne di rifiuti pericolosi difficili da conferire o riciclare in sicurezza. Le stime dell’ONU sono di 20-50 milioni di tonnellate di rifiuti tecnologici prodotti ogni anno, che comprendono più del 5% di tutti i rifiuti solidi urbani generati nel mondo. I RAEE, ovvero i rifiuti derivanti da apparecchiature elettriche ed elettroniche, rappresentano una tipologia di rifiuti pericolosi in più rapida crescita a livello globale (crescono con un tasso del 3-5% annuo, tre volte superiore ai rifiuti normali). Sono considerati pericolosi per il loro contenuto di elementi tossici e persistenti, che rappresentano un rischio per l’ambiente e la salute umana nelle varie fasi di trattamento, riciclaggio e smaltimento. Per informazioni più approfondite visitate il sito http://www.greenpeace.it/elettronicaverde/


domenica 8 agosto 2010

OGM : Appello ai ministri e alla Regione Friuli Venezia Giulia

In questi giorni stiamo rischiando la prima estesa contaminazione da OGM in Italia, a causa di una presunta semina – che sarebbe assolutamente illegale - di mais transgenico in un campo in Friuli, nel Comune di Fanna (Pn). Si rischia così la prima contaminazione da OGM in Italia. E mentre la procura di Pordenone prende un mese di tempo per portare avanti le analisi sui campioni prelevati dal terreno la Task Force per un'Italia libera da OGM, di cui Slow Food fa parte, ha deciso di appellarsi con una lettera inviata ai ministri, al presidente e agli assessori della Regione Friuli Venezia Giulia.
La lettera aperta, che segue un precedente  appello indirizzato al Presidente  della Repubblica, sottolinea che gli OGM rappresentano un pericolo per l’ambiente, la biodiversità e l’economia agricola [leggi la lettera] [Video Slow Food]

mercoledì 4 agosto 2010

Volete sapere quale pesce consumare?

Premesso che attualmente tutte le "zone di pesca" del mondo sono state devastate dalla pesca selvaggia, e tutti gli esperti del settore concordano nell'affermare che la situazione non è sostenibile.  Detto poi che non è forse così corretto e responsabile consigliare alle persone di consumare ancora più pesce, come fanno certi dietisti in televisione. Al contrario, ne andrebbe consumato molto molto meno (o per nulla).
A coloro che proprio non possono far a meno di consumare pesce consigliamo di consultare il sito  http://www.consumaregiusto.it/  dove si possono trovare  informazioni e elenco dei pesci da non consumare, di quelli sconsigliati e di quelli che possono essere acquistati e cucinati.
Volete aiutare il mare? ” Consumare giusto”  OFFRE consigli sulla spesa più corretta ed economica.

lunedì 26 luglio 2010

Le reti di Gas e oltre: sigle e brevi note

I RES (rete di economia solidale) collegano in rete i GAS, le cooperative sociali, le varie realtà del non  profit attivando un flusso di prodotti e servizi che va oltre lo scambio diretto tra chi peroduce e chi consuma.

I DES (distretti di economia solidale) sono dei distretti geografici composti da una rete nella quale non circolano solo prodotti o servizi ma anche informazioni e pratiche comuni. In pratica un distretto dovrebbe essere una rete in cui sono presenti  le varie realtà dell’economia solidale (in genere vengono mappate: gas, botteghe del commercio equo, finanza etica, ecc..), questo per fare in modo che si rafforziono vicendevolmente (scambi interni alla rete) e promuovano verso l’esterno (persone e istituzioni) i principi e le pratiche dell’economia solidale.
Un DES individua progetti e stabilisce i contatti con i produttori e la rete per la loro realizzazione. Un esempio concreto del pasaggio alla logica dei DES “ e’ quello di una cooperativa di disbili che fa da collettore e distributore nel distretto per quanto riguarda le verdure ed il fresco. Il produttore che prima faceva il giro dai gruppi, fa una consegna sola alla cooperativa; i disabili gestiscono la distribuzione in paese, allargata anche oltre i confini del gas. Per loro è un momento importante di socializzazione, per i gas una pratica di economia solidale (economia che mette al centro la relazione ed il benessere delle persone).
 
Le piattaforme logistiche invece sono realtà territoriali  dell'economia solidale che gestiscono in modo solo centralizzato l’attività: possono relazionarsi sia con le esigenze dei produttori (aziende che vogliono convertirsi al bio che hanno bisogno di quantità di smercio dei prodotti) sia alle esigenze dei consumatori che per vari motivi non riescono a partecipare all’attività dei GAS.

lunedì 19 luglio 2010

Federalismo demaniale

Come il federalismo demaniale inciderà sulla fisionomia del nostro Paese? Cosa prevede realmente il decreto legislativo licenziato dal Consiglio dei Ministri nella seduta del 20 maggio che disciplina il trasferimento dei beni demaniali dallo Stato centrale alle amministrazioni locali?
Quali sono i rischi, quali i vantaggi? Quali e quanti sono i beni realmente interessati?
Per rispondere a queste domande il Touring Club Italiano ha chiamato a raccolta le principali associazioni che in Italia si occupano di difendere e valorizzare il patrimonio culturale e ambientale. Michele Vanellone del Cai, Costanza Pratesi del FAI, Giovanni Losavio di Italia Nostra, Andrea Poggio di Legambiente e Stefano Lenzi del WWF si sono riuniti oggi per confrontare idee e visioni sul federalismo demaniale. Padroni di casa il neopresidente Franco Iseppi e il direttore generale del Tci, Fabrizio Galeotti, che hanno rispettivamente introdotto e concluso i lavori coordinati da Massimiliano Vavassori, direttore del centro studi Tci.
Il risultato dell’incontro è l’avvio di un gruppo di lavoro che, da ora in poi, interagisce con le Istituzioni e “vigila” – con il supporto di Soci e cittadini – affinché il trasferimento dei beni dello Stato non si riduca a una mera svendita, ma si traduca in una messa a valore sociale e non solo economica del patrimonio nazionale. A beneficio della collettività e non di pochi.
Touring Club Italiano, Cai, FAI, Italia Nostra, Legambiente e WWF – ognuno con la propria storia e la propria identità - si trovano, per la prima volta, uniti in difesa del Paese e del suo patrimonio più prezioso.

domenica 18 luglio 2010

Beni Comuni

I beni comuni: doni preziosi della natura e di chi ha vissuto prima di noi. Che diritto abbiamo noi di consumare risorse naturali irriproducibili? L’homus oeconomicus si comporta come se fosse l’ultimo a dover vivere sulla Terra.
E’ quindi importante riconoscere e riconsiderare i beni comuni come doni della natura e della società che ereditiamo e che creiamo collettivamente: “uno scrigno di tesori”, “una ricchezza comune” (Barnes). Bisogna fare in modo che questi caratteri diventino una acquisizione culturale condivisa, un “comune sentire”.
Sono state fornite varie definizioni e classificazioni. Per esempio: “I beni comuni possono essere definiti come l’insieme dei principi, delle istituzioni, delle risorse, dei mezzi e delle pratiche che permettono ad un gruppo di individui di costituire una comunità umana capace di assicurare il diritto ad una vita degna a tutti” (Unimondo). Altri (Petrella) pensano ai beni comuni come una serie di beni e servizi materiali e immateriali che rispondono a bisogni individuali vitali e che posseggono due caratteristiche: essenzialità e insostituibilità. E’ possibile operare una tassonomia dei beni comuni su tre liste (Giovanna Ricoveri): 1-beni e servizi comuni naturali tangibili, esauribili; 2-beni e servizi comuni immateriali, cognitivi, illimitati; 3-beni e servizi pubblici, naturali e artificiali, come le infrastrutture fisiche o digitali, la conoscenza, il welfare, internet. Ma si possono usare altre griglie, per esempio, di scala: beni comuni globali (atmosfera, oceani, foreste, biodiversità…), beni comuni legati ad usi civici territorializzati, local commons (bacini idrografici, bioregioni, ecosistemi urbani…). E lo stesso procedimento lo si può applicare con i beni comuni culturali (saperi, lingue, codici, affetti, relazioni sociali in genere) (Elinor Ostrom). Altra decisiva classificazione distingue tra “beni esclusivi” e “beni non esclusivi”. I beni comuni esclusivi sono quelli il cui possesso o godimento da parte di un soggetto esclude il possesso o godimento da parte degli altri (la ricchezza, il potere, la visibilità mediatica…) ed i beni non esclusivi, sinergici, inclusivi sono quelli che ivece tutti possono godere senza nulla togliere agli altri e al pianeta: i beni del corpo (la piena salute, le abilità), i beni della mente (le virtù, la cultura, la creatività, la contemplazione, il godimento estetico), i beni della relazione umana (i “noi” positivi: l’amore, l’amicizia, la solidarietà) (Lombardi Vallauri).
Una formidabile evoluzione del significato di beni comuni è venuta ultimamente dalle comunità virtuali che praticano la sfera digitale. Per loro e con loro “the Commons” diventano chiaramente tutti quegli elementi materiali e immateriali, naturali e sociali che ognuno di noi può condividere e che nessuno può possedere in esclusiva se non a discapito della loro stessa funzionalità, utilità e potenza.
Comunque, sono evidenti le sovrapposizioni di significati e gli intrecci delle azioni per i beni comuni. Volendo procedere per estensione potremmo dire che la vita stessa è un bene comune, perché è indivisibile e inseparabile dall’infinità dei sistemi viventi (Buiatti).
Poiché ogni cosa – alla fine – è connessa da altre e tutto si sostiene a vicenda (vivente e non vivente, materiale e spirituale, passato e futuro) ogni cosa può essere giustamente definita bene comune. Con il rischio, però, di cadere in una sorta di visione astratta e idealizzata del mondo, in cui solo una società compitamente comunistica potrà risolvere la questione della condivisione e della gestione responsabile di ogni cosa. Tale rischio può essere evitato individuando e praticando temi concreti di azioni collettive collegate alle urgenze sociali e alle emergenze ambientali. In particolare, oggi, esse sono: la ripubblicizzazione dell’acqua, la lotta alle emissioni in atmosfera (gas climalteranti e polveri sottili inalabili), la fuoriuscita dall’era dei combustibili fossili (risparmio energetico e fonti rinnovabili), la difesa della terra (biodiversità, sovranità alimentare, lotta al consumo di suolo), il libero accesso ai saperi, la liberazione del tempo dal lavoro necessitato (il diritto ad una esistenza dignitosa). In altre parole si potrebbe dire che la lotta per i beni comuni altro non è che l’azione necessaria per far emergere i desideri autentici di ogni individuo, liberati dalle costrizioni e dalle manipolazioni del mercato e riorientati verso le categorie dei beni non esclusivi e relazionali.  

Verso una società dei beni comuni
L’uso e la cura, la gestione dei beni comuni, quindi, deve avvenire con finalità di interesse pubblico, riportando in luce l’idea del bene comune finale. I beni comuni devono servire all’interesse collettivo. Il nesso tra beni comuni e il bene comune, l’interesse generale, è molto stretto.
In tal modo verrebbe sottoposta a verifica l’idea (radicata nell’epoca neoliberista) secondo cui vi sarebbe un automatismo lineare tra interesse della singola impresa economica e benessere generale. Se partissimo non dall’accumulazione monetaria, ma dalla necessità di preservare i beni comuni il più a lungo possibile e nelle migliori condizioni, il dogma sviluppista crollerebbe subito. Posti di fronte al problema della miglior utilizzazione dei beni comuni, i principi prevalenti e ordinatori della nostra società subirebbero una rivoluzione copernicana: da un’economia della “distruzione creativa" (prelievi indiscriminati e consumi illimitati) ad una della sufficienza (conservazione, riuso, riciclo, restituzione…); da una economia del massimo rendimento ad una del massimo risparmio; da una finanza del debito ad una della responsabilità; da una società della competizione ad una della reciprocità; da rapporti sociali atomizzati e individualistici ad altri condivisi e capaci di rispondere in solido. Cambierebbero, insomma, i “tipi umani” presi a riferimento e assunti a modello della società.
Verso queste visioni di società si rivolgono alcuni nuovi, estesi movimenti sociali: per l’acqua, per la difesa del suolo e delle sementi, per la giustizia ecologica, per il libero accesso alla conoscenza, contro la regolamentazione di  Internet. Infiniti sono gli esempi concreti (vedi il sito www.onthecommons.com) di gruppi sociali che cominciano a rivendicare un uso condiviso e sostenibile dei beni comuni. Possiamo dire che è nato un “The Commons Movement” che così si esprime: “The commons è ciò che noi condividiamo. Dai parchi naturali all’acqua, dalle conoscenze scientifiche a Internet molte cose non sono proprietà di nessuno. Esse esistono per il beneficio di tutti, e devono essere protetto per le generazioni future. Un movimento sta emergendo oggi per creare una società basata sui beni comuni. On the Commons è una rete di cittadini che considerano i beni comuni il momento culminate nella loro vita e promuovono soluzioni innovative basate sui beni comuni per creare un futuro luminoso”.
Molti sono gli “anticorpi sociali che si attaccano alle patologie del potere” (Paul Hawken), che si battono per la difesa dell’ambiente e la giustizia sociale e che individuano nell’accesso ai beni comuni la chiave di una trasformazione sociale.
[tratto da: Officina delle idee Gruppo di riflessione sui beni comuni]

sabato 17 luglio 2010

Mappa mondo nuovo

Questa mappa è utile per conoscere persone che  oltre a noi sognano o progettano un mondoNuovo, o anche solo desiderano scambiare conserve di pummarola con uova di giornata. Su una mappa dell'Italia compaino dei numeri e delle bandierine di segnalazione cliccando sulle quali è possibile leggere i messaggi di queste persone.  I promotori avvisano che è un esperimento per sovvertire gli schemi e far sì che quello che ci resta difficile realizzare nella cosiddetta "vita reale" diventi molto più facile grazie all'aiuto della cosiddetta "vita virtuale".
Ecco alcune importantissime e schematiche indicazioni per capire a cosa serve la mappa:

1.facilitare la scoperta di persone con la nostra stessa sensibilità verso il mondo
2.facilitare la creazione di relazioni e quindi di eventuali reti di solidarietà
3.far prendere coscienza di quanti si è anche come singoli e non solo come associazioni. L'idea forse più rivoluzionaria dietro la mappa sta proprio nel fatto che aiuta a creare reti tra persone e poi, anche ma non solo, con e tra le associazioni. Ognuno porterà nella rete la sua ricchezza e diversità.

Volontariamente non sono state messe categorie del tipo "cerco/regalo/etc." perché ciò che è importante sono le relazioni reali e lo strumento non vuole sostituire l'incontro tra le persone. L'obiettivo è infatti quello di far uscire dal virtuale al reale tutti questi rapporti che si sono creati o si creeranno su internet. Infatti scrivono gli  ideatori del sito: "poichè non vogliamo che questo strumento sia identificato con il nostro attuale o futuri progetti, vi invitiamo a contattare personalmente utenti a voi vicini e creare le vostre relazioni e i vostri progetti. Per facilitare ciò è utile scrivere nel proprio messaggio di presentazione chi siamo e cosa vorremo fare-creare-scambiare-condividere."
Indirizzo di posta elettronica: mappamondonuovo@gmail.com
sito web: http://www.mappamondonuovo.org/index.php