domenica 18 luglio 2010

Beni Comuni

I beni comuni: doni preziosi della natura e di chi ha vissuto prima di noi. Che diritto abbiamo noi di consumare risorse naturali irriproducibili? L’homus oeconomicus si comporta come se fosse l’ultimo a dover vivere sulla Terra.
E’ quindi importante riconoscere e riconsiderare i beni comuni come doni della natura e della società che ereditiamo e che creiamo collettivamente: “uno scrigno di tesori”, “una ricchezza comune” (Barnes). Bisogna fare in modo che questi caratteri diventino una acquisizione culturale condivisa, un “comune sentire”.
Sono state fornite varie definizioni e classificazioni. Per esempio: “I beni comuni possono essere definiti come l’insieme dei principi, delle istituzioni, delle risorse, dei mezzi e delle pratiche che permettono ad un gruppo di individui di costituire una comunità umana capace di assicurare il diritto ad una vita degna a tutti” (Unimondo). Altri (Petrella) pensano ai beni comuni come una serie di beni e servizi materiali e immateriali che rispondono a bisogni individuali vitali e che posseggono due caratteristiche: essenzialità e insostituibilità. E’ possibile operare una tassonomia dei beni comuni su tre liste (Giovanna Ricoveri): 1-beni e servizi comuni naturali tangibili, esauribili; 2-beni e servizi comuni immateriali, cognitivi, illimitati; 3-beni e servizi pubblici, naturali e artificiali, come le infrastrutture fisiche o digitali, la conoscenza, il welfare, internet. Ma si possono usare altre griglie, per esempio, di scala: beni comuni globali (atmosfera, oceani, foreste, biodiversità…), beni comuni legati ad usi civici territorializzati, local commons (bacini idrografici, bioregioni, ecosistemi urbani…). E lo stesso procedimento lo si può applicare con i beni comuni culturali (saperi, lingue, codici, affetti, relazioni sociali in genere) (Elinor Ostrom). Altra decisiva classificazione distingue tra “beni esclusivi” e “beni non esclusivi”. I beni comuni esclusivi sono quelli il cui possesso o godimento da parte di un soggetto esclude il possesso o godimento da parte degli altri (la ricchezza, il potere, la visibilità mediatica…) ed i beni non esclusivi, sinergici, inclusivi sono quelli che ivece tutti possono godere senza nulla togliere agli altri e al pianeta: i beni del corpo (la piena salute, le abilità), i beni della mente (le virtù, la cultura, la creatività, la contemplazione, il godimento estetico), i beni della relazione umana (i “noi” positivi: l’amore, l’amicizia, la solidarietà) (Lombardi Vallauri).
Una formidabile evoluzione del significato di beni comuni è venuta ultimamente dalle comunità virtuali che praticano la sfera digitale. Per loro e con loro “the Commons” diventano chiaramente tutti quegli elementi materiali e immateriali, naturali e sociali che ognuno di noi può condividere e che nessuno può possedere in esclusiva se non a discapito della loro stessa funzionalità, utilità e potenza.
Comunque, sono evidenti le sovrapposizioni di significati e gli intrecci delle azioni per i beni comuni. Volendo procedere per estensione potremmo dire che la vita stessa è un bene comune, perché è indivisibile e inseparabile dall’infinità dei sistemi viventi (Buiatti).
Poiché ogni cosa – alla fine – è connessa da altre e tutto si sostiene a vicenda (vivente e non vivente, materiale e spirituale, passato e futuro) ogni cosa può essere giustamente definita bene comune. Con il rischio, però, di cadere in una sorta di visione astratta e idealizzata del mondo, in cui solo una società compitamente comunistica potrà risolvere la questione della condivisione e della gestione responsabile di ogni cosa. Tale rischio può essere evitato individuando e praticando temi concreti di azioni collettive collegate alle urgenze sociali e alle emergenze ambientali. In particolare, oggi, esse sono: la ripubblicizzazione dell’acqua, la lotta alle emissioni in atmosfera (gas climalteranti e polveri sottili inalabili), la fuoriuscita dall’era dei combustibili fossili (risparmio energetico e fonti rinnovabili), la difesa della terra (biodiversità, sovranità alimentare, lotta al consumo di suolo), il libero accesso ai saperi, la liberazione del tempo dal lavoro necessitato (il diritto ad una esistenza dignitosa). In altre parole si potrebbe dire che la lotta per i beni comuni altro non è che l’azione necessaria per far emergere i desideri autentici di ogni individuo, liberati dalle costrizioni e dalle manipolazioni del mercato e riorientati verso le categorie dei beni non esclusivi e relazionali.  

Verso una società dei beni comuni
L’uso e la cura, la gestione dei beni comuni, quindi, deve avvenire con finalità di interesse pubblico, riportando in luce l’idea del bene comune finale. I beni comuni devono servire all’interesse collettivo. Il nesso tra beni comuni e il bene comune, l’interesse generale, è molto stretto.
In tal modo verrebbe sottoposta a verifica l’idea (radicata nell’epoca neoliberista) secondo cui vi sarebbe un automatismo lineare tra interesse della singola impresa economica e benessere generale. Se partissimo non dall’accumulazione monetaria, ma dalla necessità di preservare i beni comuni il più a lungo possibile e nelle migliori condizioni, il dogma sviluppista crollerebbe subito. Posti di fronte al problema della miglior utilizzazione dei beni comuni, i principi prevalenti e ordinatori della nostra società subirebbero una rivoluzione copernicana: da un’economia della “distruzione creativa" (prelievi indiscriminati e consumi illimitati) ad una della sufficienza (conservazione, riuso, riciclo, restituzione…); da una economia del massimo rendimento ad una del massimo risparmio; da una finanza del debito ad una della responsabilità; da una società della competizione ad una della reciprocità; da rapporti sociali atomizzati e individualistici ad altri condivisi e capaci di rispondere in solido. Cambierebbero, insomma, i “tipi umani” presi a riferimento e assunti a modello della società.
Verso queste visioni di società si rivolgono alcuni nuovi, estesi movimenti sociali: per l’acqua, per la difesa del suolo e delle sementi, per la giustizia ecologica, per il libero accesso alla conoscenza, contro la regolamentazione di  Internet. Infiniti sono gli esempi concreti (vedi il sito www.onthecommons.com) di gruppi sociali che cominciano a rivendicare un uso condiviso e sostenibile dei beni comuni. Possiamo dire che è nato un “The Commons Movement” che così si esprime: “The commons è ciò che noi condividiamo. Dai parchi naturali all’acqua, dalle conoscenze scientifiche a Internet molte cose non sono proprietà di nessuno. Esse esistono per il beneficio di tutti, e devono essere protetto per le generazioni future. Un movimento sta emergendo oggi per creare una società basata sui beni comuni. On the Commons è una rete di cittadini che considerano i beni comuni il momento culminate nella loro vita e promuovono soluzioni innovative basate sui beni comuni per creare un futuro luminoso”.
Molti sono gli “anticorpi sociali che si attaccano alle patologie del potere” (Paul Hawken), che si battono per la difesa dell’ambiente e la giustizia sociale e che individuano nell’accesso ai beni comuni la chiave di una trasformazione sociale.
[tratto da: Officina delle idee Gruppo di riflessione sui beni comuni]

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