lunedì 15 marzo 2010

C’era una volta l’articolo 18

Il Senato ha approvato il disegno di legge n. 1167-B, e già oggi potrebbe diventare legge essendo già passato alla Camera. Si tratta della più sconvolgente riforma di sempre in tema di Diritto del Lavoro.

Peggiore della riforma Biagi, degli interventi in favore della precarietà, dell'abolizione della scala mobile. La peggiore di tutti i tempi. Questo Governo non ha mai fatto mistero di non sopportare l'intrusione della magistratura nel suo operato e ha sempre visto i Giudici come intralcio ai propri affari. E questa mentalità aziendalista che ha sin dall'inizio disegnato la traiettoria politica dell'attuale maggioranza oggi tocca il suo culmine con questa aberrante e incivile riforma.
Il lavoro senza giustizia. Di cosa si tratta? Il disegno di legge introduce una "possibilità" quale è quella per le parti di inserire nel contratto individuale di lavoro una clausola "compromissoria" in forza della quale, in caso di controversie di lavoro, non sarà più possibile rivolgersi a un Giudice per la risoluzione della stessa ma ad un collegio arbitrale. E' preclusa, cioè, la possibilità di adire il Tribunale per tutti quei lavoratori che accetteranno quella clausola. Sappiamo bene che anche quei pochi che si accorgeranno dell'esistenza di questa clausola e, tra questi, quei pochissimi che ne comprenderanno il significato, saranno costretti ad accettarla perché quella firma su quel foglio equivale a uno stipendio e quindi a un reddito. Quindi stiamo parlando di una riforma che riguarderà tutti quanti, essendo prevedibile che per i contratti in corso si dia vita a una campagna di adesione al nuovo modello contrattuale a tutti i livelli.
Quali siano le ricadute sul già fragile impianto del nostro ordinamento giuslavoristico è facile intuirlo. Quella che è da sempre stata la parte debole del rapporto di lavoro, e cioè il lavoratore, sarà posto nelle condizioni di accettare sempre e comunque qualsiasi vessazione semplicemente perché, pur essendo astrattamente previsto un rimedio dalla legge, dal Codice Civile, dal Contratto Collettivo di Lavoro, questo non è azionabile nei termini che abbiamo conosciuto sino a oggi e cioè mediante una azione giudiziale in piena regola. Per agire si deve ricorrere agli arbitri. Ma chi sono questi arbitri?
Il comma 1 dell'art. 31 del DDL rende il tentativo di conciliazione presso la Direzione Provinciale del Lavoro non più obbligatorio ma facoltativo. Inoltre come abbiamo detto, le parti contrattuali in teoria "possono" ma in pratica pattuiranno "sicuramente" le clausole compomissorie che saranno valide solo ove sia previsto (e sarà sempre previsto) da accordi interconfederali o CCNL (Commissione di Certificazione Nazionale del Lavoro, ndr.). Le commissioni di certificazione, poi, accerteranno sempre e comunque la volontà delle parti di devolvere ad arbitri la controversia. Ed ecco che il lavoratore non ha più un giudice al quale rivolgersi, un Tribunale al quale far decidere il suo destino. Il suo destino è in mano a degli arbitri.
Ma chi diavolo sono questi arbitri? Tra poco ci arrivo.
Ecco il comma 10 dell'art. 31: "Gli organi di certificazione di cui all'articolo 76 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, e successive modificazioni, possono istituire camere arbitrali per la definizione, ai sensi dell'articolo 808-ter del codice di procedura civile, delle controversie nelle materie di cui all'articolo 409 del medesimo codice e all'articolo 63, comma 1, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165. Le commissioni di cui al citato articolo 76 del decreto legislativo n. 276 del 2003, e successive modificazioni, possono concludere convenzioni con le quali prevedano la costituzione di camere arbitrali unitarie. Si applica, in quanto compatibile, l'articolo 412, commi terzo e quarto, del codice di procedura civile".
Allora vediamolo questo art. 76 della riforma Biagi rubricato "Organi di certificazione": "1. Sono organi abilitati alla certificazione dei contratti di lavoro le commissioni di certificazione istituite presso: a) gli enti bilaterali costituiti nell'ambito territoriale di riferimento ovvero a livello nazionale quando la commissione di certificazione sia costituita nell'ambito di organismi bilaterali a competenza nazionale; b) le Direzioni provinciali del lavoro e le province, secondo quanto stabilito da apposito decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali entro sessanta giorni dalla entrata in vigore del presente decreto; c) le università pubbliche e private, comprese le Fondazioni universitarie, registrate nell'albo di cui al comma 2, esclusivamente nell'ambito di rapporti di collaborazione e consulenza attivati con docenti di diritto del lavoro di ruolo ai sensi dell'articolo 66 del decreto del Presidente della Repubblica 11 luglio 1980, n. 382. 2. Per essere abilitate alla certificazione ai sensi del comma 1, le università sono tenute a registrarsi presso un apposito albo istituito presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali con apposito decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali di concerto con il Ministro dell'istruzione, della università e della ricerca. Per ottenere la registrazione le università sono tenute a inviare, all'atto della registrazione e ogni sei mesi, studi ed elaborati contenenti indici e criteri giurisprudenziali di qualificazione dei contratti di lavoro con riferimento a tipologie di lavoro indicate dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali. 3. Le commissioni istituite ai sensi dei commi che precedono possono concludere convenzioni con le quali prevedano la costituzione di una commissione unitaria di certificazione."
Bene, quindi sappiamo tra le grinfie di chi finiranno i lavoratori, a chi andranno a chiedere "giustizia" in caso di controversia con il datori di lavoro. Voi, immagino, a questo punto vi starete chiedendo: va bene la Direzione Provinciale del Lavoro, va bene l'Università ma cosa sono gli "enti bilaterali? Presto detto: sono enti di derivazione contrattuale, in quanto istituiti e inseriti, con accordo tra le parti sociali (associazione sindacali dei datori di lavoro ed associazione sindacali dei lavoratori), nei Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro. Sono Cgil, Cisl, Uil, Confindustria, Confartigianato, etc. etc... Sono i sindacati dei lavoratori comparativamente più rappresentativi e le associazioni di categoria dei datori di lavoro. Ecco cosa sono. Ecco chi giudicherà. Ecco chi si sostituirà ai Giudici.
L'arbitrato funziona quasi come un giudizio vero e proprio perché dinanzi agli arbitri, che a differenza dei Giudici vanno pagati (e anche prima di iniziare l'arbitrato), si svolge l'istruttoria e, alla fine, i medesimi pronunciano una decisione che si chiama "lodo". Il famoso "lodo arbitrale". Ma perché questa novità, perché questo incredibile cambiamento? E a chi giova? Chi ci guadagna e chi ci perde?
Posso cominciare a rispondere a queste stimolanti domande dicendo che se questa riforma passa (e visto che sarà posta la fiducia passa di sicuro) possiamo tranquillamente smettere di lottare per conquistare diritti perché quei diritti non avranno più le gambe. Avete notato che non si è più insediato l'art. 18 dello Statuto dei lavoratori, non si è più intervenuti sul mercato del lavoro con norme che favorissero ulteriormente (anche perché peggio di così...) la flessibilità e la precarietà, non si sono più minacciati i diritti che ancora residuavano dalle lotte degli anni '60 e '70. No. Si è scavato intorno fino a concepire questa malefica riforma, subdola quanto silenziosa. Si è tolto ai lavoratori il diritto di agire per la tutela di quei diritti, il che è ancora peggio. Questo indebolirà sicuramente ancora di più la forza contrattuale dei lavoratori aumentando la pressione dei datori che potranno spremere ancor di più la forza lavoro a disposizioni senza temere conseguenze. Sì, perché in quella sede il padrone non parla con un Giudice terzo e imparziale, ma con un collegio misto di sindacalisti e amici sodali di categoria con i quali ha imparato in questi ultimi anni a rapportarsi attraverso il linguaggio della modulazione, dell'armonizzazione, della concertazione i cui risultati i lavoratori conoscono perfettamente.
Ecco a chi giova questa riforma: ai padroni e ai sindacati maggiormente rappresentativi che ottengono ciò che volevano: la gestione completa dei lavoratori, dall'assunzione al licenziamento. Questo significa che firmeranno accordi e contratti sempre più al ribasso contenenti clausole compromissorie per poi assisterli nelle lite contro il datori di lavoro e infine per giudicarli insieme a quest'ultimo secondo il comune e concertativo prudente apprezzamento cerchiobottista.
Se così non fosse, e allora dovrò assolutamente chiedere scusa a tutti, il problema non sussiste perché basterà che i sindacati maggiormente rappresentativi sul piano nazionale si rifiutino di inserire la clausola compromissoria negli accordi collettivi per rendere inoperante e nulla questa riforma. Se però questo non avviene mi sa che ho ragione io.
Per non parlare, poi, del fatto che ad assisterli non sarà necessariamente un avvocato, perché sarà sufficiente un sindacalista a rappresentarli nell'arbitrato. Qualcuno si è posto il problema se questa sarà una diminuzione ulteriori delle garanzie del lavoratore? Credo di no.
Da ultimo mi preme sottolineare, prima di fare un breve accenno all'altra riforma contenuta in questo DDL, come sia del tutto inconcepibile che nessuno si indigni di fronte a questo nefasto scenario, che in pochissimi ne parlino e che non ci sia alcuna mobilitazione in tal senso. Anche questo risponde alla domanda: chi ci guadagna?
Veniamo, infine, all'art. 34 del DDL 1167-B che, al comma 5 recita "5. Nei casi di conversione del contratto a tempo determinato, il giudice condanna il datore di lavoro al risarcimento del lavoratore stabilendo un'indennità onnicomprensiva nella misura compresa tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 12 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo ai criteri indicati nell'articolo 8 della legge 15 luglio 1966, n. 604.". In breve, significa che se il contratto a termine è nullo e cioè deve essere convertito in contratto a tempo indeterminato, il Giudice non potrà condannare il datore di lavoro ad un risarcimento superiore a 12 mensilità anche nel caso in cui, ad esempio, la causa finisca due anni dopo l'estinzione dichiarata conseguentemente inefficace del rapporti di lavoro. Inutile ricordare a tutti che una noma come questa, precedentemente proposta, è stata dichiarata incostituzionale e che oggi viene nuovamente inserita in un testo normativo.
Quello che è evidente, e questo DDL è pieno di riferimenti a limitazioni di questi tipo, è l'intento del Governo di togliere al Giudice qualsiasi potere in ordine alla gestione del personale da parte delle Aziende e quindi di sottrarre alla giustizia il diritto del lavoro che quindi, con il placet dei sindacati, semplicemente sparisce. Non c'è più. Si torna al fascismo con le camere delle corporazioni che decidono sui lavoratori. Almeno completassero l'opera e introducessero il sabato fascista di riposo così, almeno, i lavoratori ci guadagnerebbero qualcosa.
Ciò che più preoccupa è la direttrice di questa linea politica aziendalista: tutto quello che ostacola l'aumento dei profitti deve essere eliminato. In questo caso, la giustizia che con le sue sentenza a favore dei lavoratori ci fa perdere tempo e soldi.
Vi faccio solo una domanda e poi per adesso la finisco qui: ma se su questa riforma terrificante non scendono in piazza tutti quanti, lavoratori, studenti, pensionati, in quale assurdo paese ci stiamo trovando a vivere? Io, francamente, un paese così incredibilmente ingiusto e allo stesso tempo così assurdamente silenzioso comincio a non sopportarlo più.
Marco Guercio, coordinatore nazionale Retelegale.net [articolo tratto da Pisa notizie e Rees Marche ]

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