domenica 30 gennaio 2011

GAS e MArchionne - riflessione dalla retina

di Giuseppe Vergani - Retina GAS Brianza [ articolo tratto dal blog del Gas di Vimercate GAS IL PANE E LE ROSE]

"[…] c'è qualcosa di profondamente distorto in un sistema economico e politico che separa il lavoro dalla persona. Il primo è considerato una merce che un'impresa ha pieno diritto di comprare al prezzo che le conviene, o buttare da parte perché non serve più. La seconda è un essere umano che ha una storia, sentimenti, rapporti familiari, desideri, amicizie, un senso di dignità.
È possibile, dobbiamo chiederci, che dinanzi al rischio di restare senza lavoro, che significa anche perdere gran parte dell'identità di persona perché la società intera è stata costruita attorno all'idea di lavoro retribuito, nessuno in pratica abbia il diritto riconosciuto di discutere se ci sono soluzioni possibili, altre meno impervie, di affermare che una razionalità economica che non lascia nessuna voce agli interessati al di fuori degli azionisti è una forma di irrazionalità che sta minando le radici della democrazia?”

Luciano Gallino, la Repubblica, 4 gennaio 2011

Cari, il commento di L. Gallino è riferito alla recente vicenda Mirafiori, una questione che, come consumatori critici e solidali, dovrebbe interrogarci profondamente. “Finalità di un GAS è provvedere all'acquisto di beni e servizi cercando di realizzare una concezione più umana dell'economia, cioè più vicina alle esigenze reali dell'uomo e dell'ambiente”, ovvero l'opposto di quello che sta accadendo alla FIAT.

… certo, non solo alla FIAT: ma quello è un caso paradigmatico, che a partire da Pomigliano sta segnando lo sfondamento di un livello di diritti e democrazia che finora si riteneva minimo e inviolabile, almeno da queste parti. Uno sfondamento destinato a riguardare, seguendo un copione fin troppo prevedibile, tutti noi.


… certo, forse la questione non è “come” si producono automobili, ma “perché” si producano ancora automobili, e soprattutto “queste” automobili. È una questione complessa, l'ennesima, che sarebbe interessante discutere con i lavoratori ed i sindacati.

Credo tuttavia, pur con i “se”, i “ma”, le contraddizioni e le semplificazioni del caso, che sia l'occasione di manifestarsi come Rete nazionale GAS, promuovendo, da “bravi consumatori critici”, una azione informativa e/o di boicottaggio. Dopotutto stiamo parlando dei medesimi diritti che giustamente ci attiviamo affinché vengano rispettati dai “nostri” produttori, o più semplicemente orientano i nostri acquisti.

Il “gruppo comunicazione”, attivato nell'assemblea di Osnago, può prendere la parola?

O dobbiamo, come fu per i fatti di Rosarno, limitare la nostra voce al dibattito in m-l sul “chi parla a nome di chi”? Certo, ognuno può fare molto nel suo territorio, e molti già lo fanno: ma è innegabile che una questione come questa non è faccenda “territoriale”, ma attiene a dinamiche globalizzate rispetto alle quali la voce della rete nazionale sarebbe decisamente più adeguata (ed avrebbe qualche speranza di essere udita).

Una voce che assomiglierebbe a quella “politica” evocata nell'assemblea di Osnago... o sbaglio?

Giuseppe Vergani
Retina GAS Brianza

sabato 29 gennaio 2011

Riceviamo e pubblichiamo. Appello di Italia Nostra Pinerolese

Ai Cittadini, all’Amministrazione Comunale, alle Forze Politiche pinerolesi. Appello in vista dei programmi elettorali in elaborazione


La sezione Pinerolese di ITALIA NOSTRA ha promosso l’anno scorso alcuni incontri con lo scopo di sensibilizzare l’opinione pubblica e gli amministratori sui temi della tutela del patrimonio storico-artistico e del paesaggio (nello specifico sul recupero dell’ex Merlettificio Turck e del Palazzo degli Acaja), da sempre obiettivi dell’Associazione a livello nazionale e che si vorrebbero perseguire anche nella realtà pinerolese. Questi eventi – che hanno avuto un’ottima partecipazione di pubblico - hanno permesso di richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica sull’incuria in cui versano queste due aree, privata la prima, pubblica la seconda, contenenti importanti edifici che non possono essere sacrificati ai soli interessi privati o speculativi.

Volendo ora continuare nel cammino intrapreso, ci rivolgiamo ai cittadini, alla società civile, all’Amministrazione Comunale ed alle forze politiche con il duplice scopo di rafforzare da un lato l’azione di Italia Nostra sul territorio coinvolgendo sempre più persone nella Nostra battaglia e dall’altro di stimolare la politica ad esprimersi e a prendere impegni precisi in merito alle tematiche sollevate, soprattutto in vista della prossima scadenza elettorale.

Crediamo che anche a Pinerolo valga il dettame dell’art. 9 della Costituzione che afferma che la Repubblica ….Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione” e che pertanto non debbano andare distrutte quelle parti di paesaggio e di patrimonio che ancora sussistono e che caratterizzano Pinerolo, testimonianze di un passato prestigioso che ora costituiscono un prezioso patrimonio per le generazioni future.

Da oltre 50 anni è stata demolita la caserma del Vauban a Pinerolo; le motivazioni di allora, oggi non avrebbero più consistenza, ma ormai quell’importante monumento è perso! Anche le motivazioni che hanno portato alla costruzione di un “unicum” come il “grattacielo” non sono più valide, ma il grattacielo rimane e non lo toglieremo più dal nostro paesaggio.

Le linee d’acqua che costituiscono sin dal medioevo il complesso del Moirano – Lemina , con il disseminato intrico di industrie impiantate a Pinerolo da illustri capitani d’industria d’oltralpe, preziosi esempi di archeologia industriale di una città allora operosa ed all’avanguardia, sono state via via cancellate negli ultimi 50 anni con il complice benestare di amministratori ed “opinions leaders”, con ciò legittimando una visione di Pinerolo come “città dormitorio” in cui il lavoro, l’arte, la cultura ed il turismo dovevano avere casa altrove.

Solo una trentina di anni fa la batteria di stabilimenti storici era quasi intatta, ora con la scomparsa delle torri in cotto dell’ottocentesco iutificio Scotto, con il quasi totale abbattimento del trecentesco Mulino di San Giovanni, con il recente abbattimento del Mulino delle Lime, con l’abbattimento dello storico Mulino di Riva (ricostruito con denaro pubblico e ridotto a cattedrale nel deserto) si sta compiendo il Piano Programmatico di sterminio degli stabilimenti protoindustriali di Pinerolo; rimangono ancora l’ex merlettificio Turck e la cartiera Cassina, ma per quanto tempo?

Non vorremmo d’altra parte dare l’impressione che Italia Nostra voglia a tutti i costi conservare e basta; ci sono trasformazioni ed anche demolizioni che possono risultare inevitabili, purchè a dirigerle non sia la mera speculazione ma una cultura attenta alla storia ed al futuro. Siamo anche fermamente convinti che la tutela non sia antitetica allo sviluppo della città e alle esigenze degli operatori economici ma che anzi, proprio attraverso di essa possano acquisire valore le trasformazioni proposte.


Con il presente appello intendiamo quindi sollecitare le forze politiche, alla vigilia delle elezioni amministrative, ad esprimersi e a prendere impegni precisi in merito alle tematiche sollevate ed in particolare rispetto:
  • alla necessità impellente di correggere il PRGC vigente alla luce della sua inadeguatezza rispetto ai temi del consumo di suolo, del riutilizzo dei siti industriali dimessi ed in declino, del tema del paesaggio nel suo complesso anche oltre le sue emergenze.
  • alla tutela e alla valorizzazione del patrimonio storico documentale residuo della città ed in particolare alla conservazione degli esempi di archeologia industriale presenti lungo le c.d. “vie d’acqua”;
  • all’opportunità di elaborare un progetto complessivo di valorizzazione del patrimonio comunale funzionale alla tutela di parte di esso, con particolare riferimento alle prospettive di riutilizzo dei beni immobili demaniali.

Chiediamo inoltre:

Per il Turck una soluzione della vicenda che restituisca anzitutto un pezzo rilevante e strategico per l’urbanistica della città ai cittadini, tramite la creazione di spazi pubblici che non siano solo parcheggi per nuovi condomini ma che rispondano alle esigenze e alle necessità di tutta Pinerolo. Chiediamo che a questo si accompagni la tutela e la valorizzazione dei valori storici, documentali ed ambientali del merlettificio e del suo sito che possono convivere con le legittime  aspettative delle proprietà.

Per il Palazzo degli Acaia chiediamo nell’immmediato di deliberare ed attuare rapidamente almeno  una normale e sommaria pulizia del sito e l’indifferibile messa in pristino della copertura come a ragione pretendono da anni gli abitanti del Centro Storico di Pinerolo. A seguire chiediamo un piano di valorizzazione degli immobili comunali attraverso il quale reperire le risorse per restaurare il Palazzo.

Non siamo solo a chiedere ma forniamo altresì la disponibilità della sezione locale di Italia Nostra a partecipare ad un tavolo di lavoro con l’Amministrazione Comunale per definire proposte e strategie che siano al servizio della città, dei suoi valori, della sua memoria.

Auspichiamo infine che sempre più cittadini pinerolesi aderiscano alla nostra Associazione per dare forza e contributo intellettuale e di impegno alle battaglie di Italia Nostra ed incidere efficacemente sulle decisioni che verranno prese in sede di programmi elettorali e di eventuale revisione del piano regolatore della città.
Gennaio 2011

Il Direttivo della Sezione Pinerolese di ITALIA NOSTRA 
Sezione del PineroleseVia Brignone 9 (presso CeSMAP)10064 PINEROLO TO Tel.0121 794.382 Fax 0121 75547e-mail: pinerolo@italianostra.org
 
A chi volesse approfondire il tema della storia e dell'urbanistica di Pinerolo e altro ancora consigliamo di consultare il sito Cielinespansione PINEROLO e il suo territorio.

venerdì 28 gennaio 2011

Killer Jeans. Campagna per l'abolizione della sabbiatura dei Jeans

La Clean Clothes Campaign ha lanciato un appello ai produttori di jeans e ai governi per fermare la sabbiatura del denim. La sabbiatura (sandblasting) può causare una forma acuta di silicosi, malattia polmonare mortale. La tecnica sta mettendo in grave pericolo la vita di migliaia di lavoratori. È spesso eseguita in piccoli laboratori dell'economia sommersa nei paesi produttori di jeans come il Bangladesh, l'Egitto, la Cina, la Turchia, il Brasile e il Messico dove quasi tutti i jeans venduti in Europa sono prodotti. Nella sola Turchia, sono stati documentati 46 casi di decessi di sabbiatori a causa della silicosi.
Si tratta probabilmente solo la punta dell'iceberg.
In altri paesi non esistono statistiche disponibili ma il numero di vittime e potenziali vittime future è stimato essere molto elevato. La Clean Clothes Campaign (CCC), in collaborazione con il Comitato di Solidarietà dei Lavoratori della Sabbiatura in Turchia (Solidarity Committee of Sandblasting Labourers), chiede ai produttori di jeans di garantire che la sabbiatura sia eliminata dalla filiera produttiva. Un certo numero di aziende del settore moda e della distribuzione hanno già vietato la vendita di jeans sandblasted o hanno annunciato pubblicamente che li avrebbero eliminati gradualmente nei prossimi mesi. Tra questi Lévi-Strauss & Co. e Hennes & Mauritz (H & M).
La CCC invita i governi dei paesi produttori di jeans a mettere fuori legge la sabbiatura del denim, ad assicurare l’applicazione delle norme in materia di salute e sicurezza sul lavoro e a garantire pensioni di invalidità ai sabbiatori che hanno contratto la silicosi. Anche i consumatori nei paesi importatori possono dare un contributo concreto assicurandosi che i jeans che acquistano non sono stati trattati con questo processo potenzialmente mortale.
I consumatori possono anche firmare un appello sul sito internazionale della CCC per sostenere le richieste della Campagna verso l'industria dei jeans e i governi.
Da gennaio 2011 la CCC avvierà un’azione di pressione diretta alle aziende di jeans che rifiuteranno di bandire la tecnica della sabbiatura dalla produzione alla quale tutti i consumatori partecipare attivamente.
Vai su http://www.abitipuliti.org/ e sostieni la campagna

giovedì 27 gennaio 2011

Aperto facebook del GAS Pinerolo Stranamore e miglioramenti della nostra comunicazione informatica

Stiamo cambiando/migliorando la parte informatica del GAS per cui potrebbero verificarsi alcuni problemi di funzionamento del blog in questa settimana. Abbiamo aperto anche un contatto facebook  che stiamo testando. E' in costruzione anche il sito che conterrà oltre agli articoli anche degli spazi di discussione/formazione/scambio ed il software di accesso e gestione degli ordini. Saranno meglio implementate le schede dei produttori ed i verbali delle nostre riunioni.  A breve inoltre verrà pubblicato il calendario e partiranno gli incontri che avevamo previsto per il bando regionale sulla Filera Corta. Ci rivediamo tutti alla riunione generale del GAS prevista per il giorno  martedì 8 febbraio 2011 (ore 21 a Stranamore) con ordine del giorno da costruire in questa settimana. Inviate le proposte di discussione/acquisti/referenti per la serata via mail all'indirizzo del gas.

sabato 22 gennaio 2011

Origine degli alimenti: l'etichettatura è legge

Dopo un lungo iter, la Commissione Agricoltura della Camera ha approvato il ddl volto a rilanciare la competitività del settore agroalimentare e soprattutto a definire regole chiare per i consumatori relative all'etichettatura dei prodotti alimentari.
Il cuore del provvedimento è l'articolo 4, che rende obbligatorio riportare nell'etichetta l'indicazione del luogo di origine o di provenienza dei prodotti agroalimentari. “Grazie alla nuova disciplina introdotta, infatti - spiegano dal ministero delle Politiche agricole – sarà possibile fornire informazioni chiare e precise ai consumatori sulla provenienza degli alimenti che si comprano e mangiano quotidianamente. I consumatori italiani potranno così essere sicuri di acquistare prodotti made in Italy, senza possibilità di confusione dovuta a etichette ingannevoli, contribuendo anche a valorizzare le produzioni tradizionali di cui è ricco il nostro Paese”.
Ad integrazione dell'obbligo di etichettatura, inoltre, l'articolo 5 prevede che l'omissione delle informazioni relative al luogo di origine o di provenienza dei prodotti alimentari costituisca pratica commerciale ingannevole ai sensi del codice del consumo.
Altro punto cardine è la tracciabilità dei prodotti agroalimentari e la definizione di nuove sanzioni per garantire il loro rispetto. Oltre alle disposizioni sull'etichettatura, infatti, all'articolo 2 il ddl contiene sanzioni relative alla violazione delle norme che limitano l'utilizzo di latte in polvere, raddoppiando tali sanzioni qualora la violazione riguardi prodotti Dop, Igp o riconosciuti come specialità tradizionali garantite (Stg).
Rilevanti anche le nuove sanzioni in materia di sementi e oli (articolo 3), la normativa relativa alla rilevazione della produzione giornaliera di latte di bufala (articolo 7) e l'istituzione del “Sistema di qualità nazionale di produzione integrata” dei prodotti agroalimentari (articolo 2), volto a garantire una qualità superiore del prodotto finale, contraddistinto da un basso uso di sostanze chimiche, controllato da organismi terzi accreditati e identificato con uno specifico logo, al quale i produttori potranno aderire su base volontaria.
Il provvedimento, infine, contiene importanti norme per il rafforzamento della competitività del settore agroalimentare, tra cui l'estensione all'intero territorio nazionale delle disposizioni di promozione della stipula di contratti di filiera e di distretto (articolo 1), la cui operatività è attualmente limitata alle aree sottoutilizzate.
[articolo tratto da Agrinews.info ]

martedì 18 gennaio 2011

house, referendum, Servizi pubblici locali. La Corte costituzionale e i passi per l’acqua pubblica

Questo articolo si propone di commentare la recente sentenza della Corte costituzionale (la 325 del 2010) sui ricorsi delle Regioni contro il decreto Ronchi, sulla questione dell’acqua pubblica. L’unico dato positivo della sentenza in questione sembra essere rappresentato dall’affermazione che il decreto Ronchi non costituisce applicazione obbligatoria del diritto comunitario, svelando la mistificazione operata da quello stesso decreto nella parte in cui si dichiara attuativo di obblighi comunitari. Con ogni probabilità, è proprio grazie alla riconosciuta non derivazione comunitaria del decreto Ronchi, che la Corte costituzionale ha potuto ritenere ammissibile il quesito referendario che mira all’abrogazione dell’intero articolo 23 bis, così come modificato dal decreto Ronchi.

Una sentenza che stravolge e deforma i principi che regolano i Rapporti Economici della nostra Costituzione

La sentenza è lunga e complessa, ma esiste un elemento chiave attorno al quale ruotano tutte le dichiarazioni di infondatezza delle questioni poste dalle Regioni ricorrenti. E mi sembra questo: “Le regole che concernono l’affidamento e la gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica - ivi compreso il servizio idrico - ineriscono essenzialmente alla materia tutela della concorrenza, di competenza esclusiva statale” (par. 7). Cui segue e si aggiunge: “La determinazione delle condizioni di rilevanza economica è riservata alla competenza esclusiva legislativa dello Stato in tema di tutela della concorrenza” (par. 9.2).

Possiamo aggiungere a questi elementi il principio ribadito dalla Corte in una sentenza più volte citata, la n. 307 del 2009: “la Costituzione pone il principio, insieme oggettivo e finalistico, della tutela della concorrenza”. Si tratta della sentenza con cui la Corte, da un lato annullava quella parte dell’iperliberista legge lombarda che separava la gestione della rete dall’erogazione del servizio (e in questo senso fu positiva per il movimento per l’acqua, perché quella separazione è sempre funzionale alla privatizzazione di una o di entrambe le gestioni), dall’altro confermava invece quella parte della legge, con cui la Lombardia andava oltre il decreto Ronchi imponendo la gara addirittura come unica modalità di affidamento. Due scelte che enunciavano un pericoloso principio: essendo la concorrenza valore supremo, le Regioni possono derogare alle leggi statali solo nel senso di ampliarne la sfera di tutela, e non nel senso di prevedere ulteriori ambiti di esclusione dal mercato.

In questa nuova sentenza, il medesimo filo logico viene dipanato spostando i livelli decisionali: in sostanza, afferma la Corte, la legge statale può derogare alle norme comunitarie solo nel senso di prevedere una superiore tutela della concorrenza e un ampliamento della sfera del mercato, e perciò il decreto Ronchi non contrasta con le norme comunitarie neppure quando rende residuale l’affidamento in house [1].

A dispetto della rilevanza ascritta dalla Corte a questo principio, gli articoli 35 – 47 della Costituzione, che regolano i Rapporti Economici, non citano mai né la parola né il concetto di “concorrenza”. Sono principi fondamentali il lavoro e i suoi diritti, l’organizzazione sindacale, l’iniziativa economica privata, la proprietà, per fermarsi ai principali. La tutela della concorrenza è sì una materia riservata alla legislazione esclusiva dello Stato dall’articolo 117: ma una materia, non è un principio costituzionale!

La conclusione tratta dalla Corte sul punto risulta discutibile in primo luogo perché dimentica tutta la prima parte della Costituzione, mentre una questione che si asserisce afferire alla tutela della concorrenza, parametro meramente economico, non può non doversi interpretare alla luce dei principi fondamentali in materia di rapporti economici[2].

La conclusione a cui giunge la Corte è discutibile anche per un’altra ragione.

Affermando, infatti, che la materia dei servizi pubblici locali di rilevanza economica riguarda esclusivamente la tutela della concorrenza - e insieme consentendo allo Stato di farvi rientrare praticamente tutto - la Corte nega in radice l’intero concetto di servizio pubblico, in quanto, di nuovo, sembra dimenticare che il servizio ha come fine principale quello di soddisfare i diritti e i bisogni dei cittadini: e nel caso dell’acqua, la conclusione (per quanto capziosi e articolati possano essere i ragionamenti che la sostengono) è del tutto paradossale, perché considera prioritaria la tutela dell’elemento astratto “concorrenza” rispetto all’esigenza che ogni cittadino veda riconosciuto quello che l’ONU e il Parlamento Europeo, hanno definito diritto umano fondamentale e inalienabile.

Insomma, non si capisce su cosa dovrebbe concretamente vertere la materia dei servizi pubblici locali, di competenza regionale, se le si sottrae praticamente tutto.

Il divieto di gestione diretta o mediante azienda speciale

La Corte osserva perentoria a più riprese che nel sistema “già vige il divieto della gestione diretta mediante azienda speciale o in economia”. A riguardo, occorre concordare sul fatto che, purtroppo, l’art.35 della legge n. 448 del 2001 (e una successiva che lo confermava), che obbligavano le aziende speciali a trasformarsi in Spa, non sono stati né censurati dalle Regioni in questo ricorso né inseriti tra gli articoli da abrogare mediante referendum. Ma nel momento in cui la Corte riconosce che nell’ordinamento è presente un tale principio, dovrebbe subito dedurne l’incostituzionalità (anche nella forma indiretta del 23 bis), perché non si può sostenere che il Comune possa esimersi dal fornire, anche direttamente, l’acqua ai cittadini nel momento in cui non si trovassero imprese interessate a farlo sul mercato.

Invece la Corte ha ribadito la vigenza di questo principio per i servizi a rilevanza economica.

E dato che gli Enti Locali, secondo la Corte, non sono più legittimati a decidere se l’acqua sia un servizio a rilevanza economica o meno, avendo lo Stato deciso una volta per tutte (che lo è), non si può più sostenere che l’affidamento ad azienda di diritto pubblico sia consentito sul presupposto che il servizio sia dichiarato privo di rilevanza economica.

Oggi però è inevitabile fare i conti col quadro che la Consulta ha voluto creare.

Mi soffermo sul fatto che non concordo del tutto con l’articolo di Iannello, in cui si assimila l’azienda speciale con la società di capitale, differenziandole solo per i tenui vincoli pubblicistici della prima. Due aspetti, infatti, restano a mio parere a suffragare il percorso sinora seguito dal Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua: il primo, che l’azienda speciale rimane nell’alveo del diritto pubblico mentre la SpA può esserlo solo nell’accezione ampia e sostanziale del diritto comunitario, ma non in quello interno; il secondo, che l’azienda speciale, non avendo quote azionarie, è impossibile da privatizzare, essendo azienda pubblica per definizione, mentre la SpA pubblica espone al rischio che la proprietà delle quote possa cambiare. D’altro canto, a differenza delle vere aziende pubbliche, (le municipalizzate), le aziende speciali resistono nell’ordinamento mediante l’articolo 114 del Testo Unico degli Enti Locali.

Questi concetti, però, se rimangono validi in astratto, risultano al momento inapplicabili perché la nozione sostanziale che la Corte ha bocciato è quella di “gestione diretta mediante azienda speciale o in economia”, o consorzio (sebbene non esplicitamente menzionato). E’ importante tenerlo presente, perché operare (o suggerire) un affidamento palesemente illegittimo, con gli interessi delle multinazionali che ci sono in gioco, esporrebbe gli Ato - i consorzi di Comuni e Province che deliberano in materia – agli effetti dei ricorsi al TAR, con conseguente successivo obbligo della gara.

Nelle Regioni a statuto speciale potrebbero esservi opzioni aggiuntive giuridicamente possibili specie se previsti negli Statuti e ad esse non si applica integralmente la sentenza della Consulta. Questi territori potrebbero essere laboratori di sperimentazione delle aziende di diritto pubblico.

Il servizio idrico è funzione fondamentale dell’Ente locale?

Vi sono molti dettagli discutibili della sentenza, che mostrano come essa sia, per così dire, ideologicamente viziata.
Ad esempio, al punto 11. 5, la Corte afferma che “il presupposto […] che il servizio idrico costituisca una delle funzioni fondamentali dell’ente locale è privo di fondamento (sentenze n.307 del 2009 e 272 del 2004)”.

In realtà la gestione dell’acqua è - da sempre - una delle funzioni fondamentali dei Comuni. Ma cosa afferma la sentenza n.307 del 2009? Ebbene la sentenza sembra affermare esattamente il contrario di quanto oggi le si vuol far dire: “Le competenze comunali in ordine al servizio idrico sia per ragioni storico-normative sia per l’evidente essenzialità di questo alla vita associata delle comunità stabilite nei territori comunali devono essere considerate quali funzioni fondamentali degli enti locali”.

Quali passi per l’acqua pubblica?

A questo punto sembra che le linee di azione dei sostenitori dell’acqua pubblica dovrebbero essere le seguenti. L’obiettivo di fondo resta quello della legge di iniziativa popolare che punta a una gestione autenticamente pubblicistica. A tale scopo, occorre sostenere il referendum e la moratoria degli affidamenti e delle gare in attesa che il referendum venga svolto. Per tutti quegli affidamenti che non si possono arrestare prima del referendum, andrebbero sostenute le soluzioni “in house”, a società a totale capitale pubblico. Ciò è necessario per poter mantenere un quadro rilevante di ambiti dove la gestione possa essere più semplicemente ripubblicizzata (come avviene a Parigi), battendosi affinché nelle eventuali delibere di affidamento si assumano l’impegno dell’organo affidante a trasformare la Spa in ente di diritto pubblico appena il quadro giuridico dovesse consentirlo e l’obbligo della Spa di prestare l’attività esclusivamente (e non solo in via prevalente) a favore degli enti pubblici affidanti. Occorre insomma evitare di ostacolare le amministrazioni che nel quadro normativo attuale dovessero scegliere di chiudere all’ingresso di investitori privati ricorrendo alle soluzioni in house[3]. Una battaglia politica aspra, ci attende, in cui contemplare anche forme di disobbedienza civile verso quelle amministrazioni che intendano procedere con le privatizzazioni e il prosieguo della campagna di modifica degli Statuti comunali e provinciali con l’affermazione del principio che l’acqua è un servizio pubblico privo di rilevanza economica. In conclusione, auspico una strada comune e chiara, per continuare la riappropriazione dell’acqua bene comune.



* Funzionario Provincia di Torino, movimento per l’acqua pubblica.


[1] Si intende con questa dizione, secondo la normativa comunitaria, l’affidamento diretto di un servizio pubblico ad ente o azienda esterna a varie condizioni, tra cui quella che l’ente affidante eserciti un “controllo analogo” a quello operato sui propri uffici. A queste condizioni l’affidamento avviene fuori dalle regole di mercato e di concorrenza.
[2] È tale la ritrosia della Corte di citare principi costituzionali, che dove essa afferma timidamente, al punto 8.1.2., che “la sfera di autonomia privata e la concorrenza non ricevono dall’ordinamento una protezione assoluta e possono, quindi, subire limitazioni”, anziché citare correttamente l’articolo 41 Cost., cita una giurisprudenza precedente della Corte stessa. Subito peraltro la Corte si preoccupa di attenuare quest’apertura, non peritandosi di affermare, citando un’altra precedente sentenza, che la regolazione del mercato, strumentale a garantire la tutela di interessi diversi rispetto a quelli correlati all’assetto concorrenziale del mercato, ha carattere derogatorio e per ciò stesso eccezionale. Portando in questo contesto tale affermazione, il passaggio che ne deriva si può definire eversivo, in quanto arriva a negare il carattere permanente e fondante della limitazione all’iniziativa economica privata imposto dall’art.41 della Costituzione “Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”.
[3] A riguardo, non può convincere la proposta di Lucarelli (articolo uscito su rivista 1/2011 dell’AIC) secondo cui le Regioni dovrebbero istituire appositi enti di diritto pubblico per la gestione dei servizi. Una strada che appare impercorribile dopo una sentenza che afferma in modo perentorio (anche se non condivisibile) la competenza assoluta dello Stato sui servizi a rilevanza economica, tra cui il servizio idrico.
Francesco Nannetti - 16 Gennaio 2011
Funzionario Provincia di Torino, movimento per l’acqua pubblica.
[dal sito Economia e Politica]

giovedì 13 gennaio 2011

Si della Consulta, la parola ai cittadini. Probabilmente nella prossima primavera referendum sull'acqua pubblica. Comunicato del Forum dei movimenti per l'acqua pubblica

La Corte Costituzionale ha ammesso due quesiti referendari proposti dai movimenti per l'acqua. A primavera gli uomini e le donne di questo paese decideranno su un bene essenziale. La vittoria dei “sì” porterà ad invertire la rotta sulla gestione dei servizi idrici e più in generale su tutti i beni comuni.
Attendiamo le motivazione della Consulta sulla mancata ammissione del restante quesito (quesito n. 2), ma è già chiaro che questa decisione nulla toglie alla battaglia per la ripubblicizzazione dell'acqua e che rimane intatta la forte valenza politica dei referendum.
Il Comitato Promotore oggi più che mai esige un immediato provvedimento di moratoria sulle scadenze del Decreto Ronchi e sull'abrogazione degli AATO, un necessario atto di democrazia perché a decidere sull'acqua siano davvero gli italiani.
Il Comitato Promotore attiverà tutti i contatti istituzionali necessari per chiedere che la data del voto referendario coincida con quella delle elezioni amministrative della prossima primavera.
Da oggi inizia l'ultima tappa, siamo sicuri che le migliori energie di questo paese non si tireranno indietro.
Roma, 12 gennaio 2011


domenica 9 gennaio 2011

L'equidistanza è uno spot

Lo spot lanciato dal Forum Nucleare, con una spesa annunciata di tre milioni di euro, è un esempio di raffinata manipolazione dell’informazione: propina falsità sotto un apparente tono “equidistante” con le posizioni pro e contro rappresentate su una scacchiera.
Ci troviamo di fronte a una comunicazione assai più “ricercata” delle trasmissioni Rai con interventi tutti a favore tranne uno. Ma vediamo come lo spot traveste da “argomento razionale” due evidenti bufale.
Prima bufala: la gestione delle scorie. Nello scambio dei pro e contro, una voce si dice preoccupata del futuro, l’altra ribatte che le scorie prodotte sono quanto «una pedina a testa». La replica è che se si sommano le teste non è poi così poco. La voce pro conclude il batti e ribatti affermando che però «si possono gestire in sicurezza». Peccato che in nessuna parte del mondo, dopo 60 anni di sviluppo tecnologico – e dopo aver ricevuto la quota maggiore degli investimenti pubblici in ricerca e sviluppo energetico dei Paesi Ocse – questo miracolo sia ancora mai stato dimostrato.
Seconda bufala: la voce contro ricorda che, per fare a meno delle fonti fossili, ci sono le energie rinnovabili. La voce a favore del nucleare ribatte che tra cinquant’anni potrebbero non bastare. Qui la menzogna è duplice. In primo luogo tra cinquant’anni anche l’uranio estraibile a costi calcolabili sarà agli sgoccioli. In secondo luogo, la possibilità tecnica ed economica di uno scenario energetico totalmente basato sulle rinnovabili non è solo una fantasticheria degli ambientalisti: ci sono analisi di fonte industriale e istituzionale che lo dimostrano possibile almeno su scala europea.
A parte il dubbio su chi pagherà alla fine i costi di questa propaganda, dato che le norme in vigore per il nucleare prevedono fondi pubblici per «campagne informative» – tema sollevato da una interrogazione al Senato di Ferrante e Della Seta (Pd) – non sappiamo come si svilupperà questa ricca campagna di disinformazione pubblica.
Secondo l’ultimo sondaggio europeo sul tema nucleare dello scorso marzo (Eurobarometro) 55 su 100 italiani pensano che i rischi del nucleare siano superiori ai benefici, contro 27 che ritengono il contrario (un rapporto 2 a 1).
Semmai questa campagna venisse rimborsata da fondi pubblici saremmo di fronte a un paradosso: si useranno le risorse di tutti per cercare di convincere la maggioranza dei cittadini che ha torto.
Come reagiranno gli italiani? Certo che da quando il governo ha cominciato a parlare di nucleare, stando alle rilevazioni dell’Ipsos, l’opposizione è cresciuta.
Giuseppe Onufrio
Direttore esecutivo di Greenpeace Italia
[tratto dal blog di Greenpeace Italia]

venerdì 7 gennaio 2011

Settimana Mondiale per l'Abolizione della Carne - dal 24 al 30 gennaio 2011

Le passate edizioni delle giornate per l'abolizione della carne sono state un incoraggiante successo. Consci dell'importanza di tale rivendicazione, abbiamo deciso di organizzare queste giornate con cadenza più regolare. A partire dall'ultima settimana di settembre 2010, esse hanno luogo nella settimana dell'ultimo sabato di gennaio, maggio e settembre. La prossima mobilitazione è dunque prevista per il periodo dal 24 al 30 gennaio 2011.

Nelle precedenti giornate si sono svolti vari eventi in oltre 50 città dei seguenti paesi: Belgio, Bolivia, Brasile, Francia, Germania, Inghilterra, India, Irlanda, Italia, Portogallo, Sudafrica, Svizzera, U.S.A..

Ringraziamo tutti i singoli e i gruppi che hanno fatto sentire la propria voce per la causa degli animali oppressi ed hanno gridato che le nostre società devono abolire l'uccisione di animali per l'alimentazione! E' davvero importante, per noi, vedere che nello stesso giorno persone in vari luoghi del mondo portano avanti la stessa rivendicazione politica: fermare lo sterminio degli animali.

Crediamo sia giunto il momento di chiedere pubblicamente l'abolizione della carne. Naturalmente questa richiesta non dovrebbe essere valida soltanto 3 settimane all'anno, ma dovrebbe crescere con l'accumulazione di eventi locali, nazionali ed internazionali.

E' anche tempo di congiungere le nostre forze e rendere più evidente possibile la sofferenza animale. Ed è tempo di dichiarare l'obiettivo che deve essere finalmente discusso socialmente senza alcun tabù: l'abolizione dell'allevamento, della caccia e della pesca.

Auspichiamo che aumentino le singole azioni ed i paesi aderenti, e che tali crescano in determinazione, immaginazione e visibilità.

Se state progettando un evento, segnalatelo e mandate il resoconto a meatabolition(at)yahoo.com (english) o a abolizionecarne(at)gmail.com (italiano) per la pubblicazione.
I materiali per i presidi sono disponibili qui: http://aboliamolacarne.blogspot.com/2010/01/materiali-per-la-seconda-giornata.html
E' anche possibile scaricare i materiali zippati qui

La lista degli eventi programmati in Italia sarà pubblicata e aggiornata su questa pagina e sulla pagina dedicata su facebook.
 
[Tratto da  http://aboliamolacarne.blogspot.com/ ]

mercoledì 5 gennaio 2011

Dati sul mercato dell'agricoltura biologica

Sono 35 milioni gli ettari mondiali coltivati secondo i dettami dell'agricoltura sostenibile, 1 milione e 400 mila aziende in 154 Paesi. Numeri di tutto rispetto per un mercato che vale qualcosa come 40 miliardi di euro.  E il futuro promette anche meglio, con tassi di crescita annui che secondo le stime vanno tra il 10 e il 20%.
Europei e nordamericani sono gli estimatori più accesi di questo tipo di cibo se è vero che comprano il 97% dei prodotti biologici presenti sulla piazza globale.

IL MERCATO DEL BIO IN ITALIA
Mentre l'alimentare convenzionale segna il passo (- 2 %), il "bio" non conosce crisi.  I prodotti da agricoltura biologica, nei primi dieci mesi del 2010, hanno registrato un aumento nelle vendite del 12,1% sul pari periodo del 2009. I consumi continuano a crescere confermando un trend ormai consolidato dai dati registrati nel 2008 (più 5,2 %) e nel 2009 (più 6,9 %).  Ma i  consumi di biologico in Italia sono ancora bassi: viaggiano attorno al 3% del mercato totale; prevale ancora di gran lunga l'acquisto di prodotti alimentari "industriali" e/o convenzionali.
In Piemonte l’agricoltura biologica è praticata su 40 mila ettari di coltivazioni e coinvolge oltre 2150 operatori, di cui 300 impegnati nella trasformazione, 600 nell’allevamento.
Canali di vendita. Nella ripartizione delle vendite si evidenzia che il 45 % avviene nei supermercati e ipermercati, il 26 % nei negozi specializzati, il 9 % nella vendita diretta e il 20 % da parte dei gruppi d'acquisto solidali e nel dettaglio tradizionale. Riferendosi solamente ai prodotti biologici confezionati tra i canali di vendita la crescita più alta si registra negli ipermercati (più 20,7 %).

IL MERCATO DEL BIO IN EUROPA E IN NORD AMERICA
In Europa, nell’analisi del settore dell’agricoltura bio nell’Unione Europea, pubblicata nei mesi scorsi e riguardante il 2008, si afferma che la domanda di prodotti agroalimentari da parte dei consumatori cresce a ritmo veloce, tuttavia fino ad ora il settore biologico non rappresenta più del 2% della spesa alimentare totale nell’UE a 15 nel 2007.
I dati 2009-2010 a disposizione non sono molti ma da alcuni di questi si nota che, a causa della crisi economica mondiale, a fronte di un aumento complessivo dei consumi (es. +18 % in Svezia, + 7 % in Svizzera), in alcuni stati c’è stata una flessione dei consumi, il più vistoso è il -12,9 % del fatturato bio della Gran Bretagna.
Anche il mercato del biologico nordamericano, e quello degli USA in particolare, che da sempre consuma anche prodotti bio italiani, registra nel 2009 rispetto al 2008 un incremento pari al 5,1 % dei prodotti alimentari. Tra l'altro, negli USA stanno crescendo i supermercati specializzati bio. In particolare continua il trend positivo per l'ortofrutta biologica.

Per saperne di più vai su www.labuonaterra.it > agricoltura bio>mercato