Ci sono tutte le premesse per
raggiungere in poche settimane il record toccato nel 2008 dai cereali
sui mercati, scatenando più di 30 rivolte per il pane nel mondo e agendo
da detonatore per la primavera araba.
“Costi alti, molta volatilità dei prezzi, numerose “dislocazioni”, ristrettezze e tante opportunità di arbitraggio”
(ossia vendita e acquisto di un bene per trarre profitto dalle sue
differenze di prezzo in mercati diversi allo stesso tempo), questo
accadrà secondo Mahoney. Insomma, il non plus ultra per la speculazione finanziaria. Quella che finalmente anche il nuovo capo della Fao, il brasiliano José Graziano da Silva, ha indicato tra le principali cause della volatilità dei prezzi del cibo.
E pensare che nell’ultimo anno, in
seguito alle pressioni della società civile e dell’opinione pubblica,
delle importanti banche europee hanno iniziato a ritirarsi dagli
investimenti finanziari in alcuni prodotti derivati collegati alle
risorse alimentari. Nel 2011 Nordea, quindi a marzo Deutsche Bank e a
luglio alla Commerzbank, e per ultima l’austriaca Wolksbanken la scorsa
settimana. Tutti questi istituti di credito hanno deciso di sospendere o
chiudere definitivamente i loro investimenti nei prodotti exchange
traded (ETP) finiti nell’occhio del ciclone.
Va aggiunto che negli ultimi mesi gli
stessi prodotti finanziari e le loro nuove evoluzioni hanno generato
perdite significative per i grandi investitori. In primis, Calpers, il
più ricco fondo pensione al mondo – dei dipendenti pubblici della
California – il cui portfolio “agricolo” nell’arco di 12 mesi si è
svalutato dell’11 per cento.
Ma con i prezzi che schizzano in alto in
maniera imprevedibile alla Glencore ritornano i prospetti di nuove
speculazioni e guadagni. I più grandi promotori e gestori al mondo di
prodotti ETF e ETP, le società finanziarie ETF Securities e IShare,
annunciano che non molleranno mai questo settore poiché non è vero che
la speculazione finanziaria ha un impatto sull’andamento dei prezzi.
Un’affermazione che, al di fuori delle borse di Wall Street e della City
di Londra, in tanti non credono realistica. La Deutsche Bank ha
addirittura messo su un gruppo di studio per accertare quanto la
speculazione pesi sulla formazione dei prezzi agricoli. Le banche
nostrane come Intesa, Unicredit e Monte dei Paschi, esposte anche loro
pur se in maniera minore nel mercato ETF, invece non dicono nulla e
studiano poco.
In finanza come in ogni sfera della
società il buon senso consiglierebbe di seguire un principio di
precauzione: finché lo speculatore non proverà che il suo operato non
turba i mercati e i prezzi a suo vantaggio, sarebbe meglio mettere al
bando questi prodotti. Se le autorità predisposte non intervengono,
imbrigliate dalle lobby finanziarie – le nuove regole scritte dopo la
crisi negli Usa e ancora discusse in Europa tardano a essere definite o
attuate – allora è meglio che i risparmiatori, anche quelli piccoli e
“bonari”, seguano questo principio e si tengano alla larga da qualsiasi
prodotto finanziario, indice o fondo che sia, collegato in qualche modo
ai prodotti derivati che agiscono sulle risorse alimentari.
Articolo di Antonio Tricarico tratto da sito di Sbilanciamoci!
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