venerdì 31 agosto 2012

Quando la carestia è un buon affare

Mai come in questo caso Chris Mahoney, il capo del dipartimento cibo di uno dei più grandi trader al mondo di materie prime – l’inglese Glencore, registrata in Svizzera per motivi fiscali – è stato esplicito. Mahoney sostiene che la grave siccità che sta colpendo gli Stati Uniti, tanto da diminuire anche del 45 per cento il raccolto annuo di grano e soia e provocare un’enorme volatilità nei prezzi del cibo in tutto il mondo, “sarà un bene per Glencore”.
Ci sono tutte le premesse per raggiungere in poche settimane il record toccato nel 2008 dai cereali sui mercati, scatenando più di 30 rivolte per il pane nel mondo e agendo da detonatore per la primavera araba.
Costi alti, molta volatilità dei prezzi, numerose “dislocazioni”, ristrettezze e tante opportunità di arbitraggio” (ossia vendita e acquisto di un bene per trarre profitto dalle sue differenze di prezzo in mercati diversi allo stesso tempo), questo accadrà secondo Mahoney. Insomma, il non plus ultra per la speculazione finanziaria. Quella che finalmente anche il nuovo capo della Fao, il brasiliano José Graziano da Silva, ha indicato tra le principali cause della volatilità dei prezzi del cibo.
E pensare che nell’ultimo anno, in seguito alle pressioni della società civile e dell’opinione pubblica, delle importanti banche europee hanno iniziato a ritirarsi dagli investimenti finanziari in alcuni prodotti derivati collegati alle risorse alimentari. Nel 2011 Nordea, quindi a marzo Deutsche Bank e a luglio alla Commerzbank, e per ultima l’austriaca Wolksbanken la scorsa settimana. Tutti questi istituti di credito hanno deciso di sospendere o chiudere definitivamente i loro investimenti nei prodotti exchange traded (ETP) finiti nell’occhio del ciclone.
Va aggiunto che negli ultimi mesi gli stessi prodotti finanziari e le loro nuove evoluzioni hanno generato perdite significative per i grandi investitori. In primis, Calpers, il più ricco fondo pensione al mondo – dei dipendenti pubblici della California – il cui portfolio “agricolo” nell’arco di 12 mesi si è svalutato dell’11 per cento.
Ma con i prezzi che schizzano in alto in maniera imprevedibile alla Glencore ritornano i prospetti di nuove speculazioni e guadagni. I più grandi promotori e gestori al mondo di prodotti ETF e ETP, le società finanziarie ETF Securities e IShare, annunciano che non molleranno mai questo settore poiché non è vero che la speculazione finanziaria ha un impatto sull’andamento dei prezzi. Un’affermazione che, al di fuori delle borse di Wall Street e della City di Londra, in tanti non credono realistica. La Deutsche Bank ha addirittura messo su un gruppo di studio per accertare quanto la speculazione pesi sulla formazione dei prezzi agricoli. Le banche nostrane come Intesa, Unicredit e Monte dei Paschi, esposte anche loro pur se in maniera minore nel mercato ETF, invece non dicono nulla e studiano poco.
In finanza come in ogni sfera della società il buon senso consiglierebbe di seguire un principio di precauzione: finché lo speculatore non proverà che il suo operato non turba i mercati e i prezzi a suo vantaggio, sarebbe meglio mettere al bando questi prodotti. Se le autorità predisposte non intervengono, imbrigliate dalle lobby finanziarie – le nuove regole scritte dopo la crisi negli Usa e ancora discusse in Europa tardano a essere definite o attuate – allora è meglio che i risparmiatori, anche quelli piccoli e “bonari”, seguano questo principio e si tengano alla larga da qualsiasi prodotto finanziario, indice o fondo che sia, collegato in qualche modo ai prodotti derivati che agiscono sulle risorse alimentari.
Articolo di Antonio Tricarico tratto da sito  di Sbilanciamoci!

Nessun commento:

Posta un commento